Thursday, 23 June 2011

Esame di Stato 2011 Versione Seconda prova scritta Liceo Classico traduzione e testo


Chiunque deciderà di essere felice, ritenga che l'unico bene è ciò che è moralmente onorevole; qualora infatti ritenga che ci sia qualche altro bene, come prima cosa giudica male la provvidenza, perché agli uomini onesti capitano molte disgrazie e perché tutto ciò che essa ci ha concesso è di breve durata e trascurabile, se lo confronti con l'età dell'universo. Da questo lamento deriva che siamo interpreti ingrati dei doni divini: ci lamentiamo che non ci capitino sempre, che ce ne capitino sia pochi, sia incerti, sia destinati a svanire. Da ciò deriva che non vogliamo vivere, né morire: ci prende l'odio per la vita e la paura della morte. Ogni nostro piano vacilla e nessuna felicità riesce a soddisfarci pienamente. La causa d'altra parte è il fatto che non siamo giunti a quel bene immenso e insuperabile presso il quale è inevitabile che la nostra volontà si arresti, perché oltre la cima non c'è nulla. Chiedi perché la virtù non abbia bisogno di alcunché? Gode delle cose presenti, non desidera quelle assenti; tutto ciò che per lei è sufficiente diventa automanticamente anche grande. Allontànati da questo pensiero: non resisterà la religiosità, non la lealtà: chi vuole dare prova dell'una e dell'altra deve sopportare molti di quelli che sono chiamati mali e sacrificare molti di quelli ai quali di solito ci dedichiamo ritenendoli beni. Scompare la forza d'animo, che deve mettersi alla prova; scompare la magnanimità, che non può emergere se non disprezza, in quanto meschine, tutte quelle cose che il volgo desidera ritenendole le migliori; scompaiono la gratitudine e i rapporti di gratitudine, se temiamo la fatica, se riteniamo che ci sia qualcosa di più prezioso della lealtà, se non aspiriamo al meglio.


Quicumque beatus esse constituet, unum esse bonum putet quod honestum est; nam si ullum aliud existimat, primum male de providentia iudicat, quia multa incommoda iustis viris accidunt, et quia quidquid nobis dedit breve est et exiguum si compares mundi totius aevo. Ex hac deploratione nascitur ut ingrati divinorum interpretes simus: querimur quod non semper, quod et pauca nobis et incerta et abitura contingant. Inde est quod nec vivere nec mori volumus: vitae nos odium tenet, timor mortis. Natat omne consilium nec implere nos ulla felicitas potest. Causa autem est quod non pervenimus ad illud bonum immensum et insuperabile ubi necesse est resistat voluntas nostra quia ultra summum non est locus. Quaeris quare virtus nullo egeat? Praesentibus gaudet, non concupiscit absentia; nihil non illi magnum est quod satis. Ab hoc discede iudicio: non pietas constabit, non fides, multa enim utramque praestare cupienti patienda sunt ex iis quae mala vocantur, multa impendenda ex iis quibus indulgemus tamquam bonis. Perit fortitudo, quae periculum facere debet sui; perit magnanimitas, quae non potest eminere nisi omnia velut minuta contempsit quae pro maximis vulgus optat; perit gratia et relatio gratiae si timemus laborem, si quicquam pretiosius fide novimus, si non optima spectamus.

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